sabato 21 dicembre 2013

DIRETTAMENTE DALLA PUGLIA, DA UNA SIMPATICA ED ENERGICA "ZIA TERESA", DA UNA FAMIGLIA TRADIZIONALE UNA RICETTA REGIONALE # 9

ULTIMA DOMENICA D'AVVENTO..E COME NON FESTEGGIARLO CON UN PIATTO CHE ARRIVA DALLA RIDENTE E GENEROSA PUGLIA ??!!


"Orecchiette" perchè hanno questo nome,  ci chiediamo noi PROFANI !!
Perché  hanno la forma di piccole orecchie, più grandi, come si fanno  dalle parti di Brindisi,  con farina integrale, dette recch d'i prevt , orecchie del prete. 
Mentre a  Bari troviamo l' strascinaet, soprattutto quando restano piatte, senza la forma concava, infine presso le zone di Taranto,  le chiancarelle.



In Inglese Fresh pasta from Apulia
In  Francese Pâtes fraîches des Pouilles
In Spagnolo  Pasta fresca de la región Puglia
In Tedesco Frische Nudeln aus Apulien
  
Chi sarà stato a lavorare farina o semola con acqua dando una forma così particolare a piccoli pezzi dell'impasto?
Non si hanno  testimonianze certe  ed  anche per le orecchiette girano “voci” diverse riguardo la loro provenienza. La tesi che più piace ai Baresi è quella che testimonia  in città la presenza delle orecchiette  già nel '500, secondo un testamento in cui il titolare di un panificio lasciava il negozio a sua figlia al pari di una dote data l'abilità della fanciulla nel fare questo tipo di pasta, le orecchiette.

Gli antichi Romani sembra abbiano  contribuito a tramandare questo tipo di impasto   con le “lixulae” (1) , forse lontane parenti delle orecchiette, lavorate a mano, impastando farina e acqua, di forma concava, insaporite con formaggio.
Anche i Francesi, anzi gli abitanti della Provenza, nel Medioevo potrebbero aver inventato questo particolare  formato di pasta, lavorando semola di grano proveniente dal sud della Francia,  ancora oggi  uno dei più importanti Paesi produttori di grano duro.
La pasta si lasciava asciugare, anzi  “seccare” per evitare le  muffe durante il trasporto. Sarebbero stati poi i Conti di Provenza, dinastia D'Angiò, durante la dominazione in Puglia, intorno al '200, a far conoscere tale forma  di pasta dando  il  nome di orecchiette.



MIA SORELLA  CI OFFRE UN TRADIZIONALE  CONTRIBUTO DOC



 La ricetta di zia Teresa : orecchiette alla barese

"Zia Teresa velocemente prepara la farina sul tavolo, aggiunge acqua e sale, impasta con perizia e altrettanto velocemente già vedi corti e tozzi spaghetti che poi con un fulmineo movimento del coltello diventano piccoli gnocchi: un leggero tocco con il dito indice e voilà ecco l’orecchietta delicata e al tempo stesso arcuata pronta ad accogliere il condimento. 
Questa donna di oltre ottanta anni, zia di mio marito, simpatica e piena di energia, ha un sogno nel cassetto: diventare uno chef! E me lo confessa come un segreto che non ha avuto mai il coraggio di confidare a nessuno. 
“Certamente lo saresti diventata – dico io , mentre finisce di arrotolare le orecchiette - in cucina sei un portento! Non è mai troppo tardi !”. Mi guarda con la speranza negli occhi, poi ritorna nella realtà e con un’espressione tipicamente barese mi dà il giusto consiglio per la buona riuscita di un buon piatto di orecchiette:” Scola la pasta aqquànne iè sòpe alla tenùte!”. “Cioè?” dico io. “La pasta deve essere non troppo cotta, ma un po' al dente”."




Ingredienti per due persone


500 g di cime di rapa
2 cucchiai di olio extravergine
2 spicchi di aglio
2 filetti di  acciuga sotto olio 
Peperoncino
160 g di pasta "orecchiette"


PROCEDIMENTO  

Pulire le cime di rapa prendendo fiori e foglie più teneri, lavarle con abbondante acqua fresca corrente, mettere a cuocere la verdura in molta acqua salata e scolarla nel piatto di portata. Far cuocere le orecchiette nella stessa acqua dove sono state cotte le verdure, mentre la pasta cuoce, in un pentolino, posto su un altro tegame più grande con acqua portata ad ebollizione, mettere le acciughe, l’aglio, l’olio ed il peperoncino cosicché i filetti si sfaldino al calore.  Scolare le orecchiette , versarle nel piatto di portata dove abbiamo sistemato la verdura, unire il contenuto del pentolino (olio, acciughe, aglio, peperoncino) ed amalgamare bene il tutto. Servire e, se si vuole, aggiungere una spolverata di pecorino o di ricotta “ascuante” formaggio tipico della Puglia


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  • (1)da Ilaria Roglieri

    La nascita delle orecchiette è avvolta nel mistero. Il poeta latino Varrone parla delle lixulae, un tipo di pasta a forma rotonda con il centro concavo ottenuta con farina, acqua.
    Nel Medioevo, nella zona provenzale, si produceva una pasta simile alle orecchiette, le crosets. Con il grano duro si lavorava una pasta piuttosto spessa, che veniva tagliata in dischi dal diametro irregolare, incavati con la pressione del pollice al centro.
    Alcune fonti attribuiscono alla Napoli duecentesca dei d’Angiò Conti di Provenza, il merito di diffondere la pasta provenzale con il nome di orecchietta. Essi avevano tra i loro domini anche le terre di Puglia. Si hanno notizie anche intorno alla seconda metà del 1500 da Giambattista del Tufo, scrittore napoletano le cui opere sono ricchissime di notizie storiche sugli usi e costumi dell’Italia meridionale. Per la prima volta le orecchiette venivano descritte come prodotto tipico di Bari.
    Il nome da quel momento diventa “strascinate e maccheroni incavati di Bari”. Secondo la tradizione locale, la forma delle orecchiette sembra s’ispiri a quella dei tetti dei trulli.
    Attorno alla fine del ’500, negli archivi della chiesa di San Nicola a Bari fu ritrovato un documento con il quale un padre donava il panificio alla figlia. Nell’atto notarile si poteva anche leggere che la cosa più importante lasciata in dote matrimoniale era l’abilità della figlia di preparare le recchietedde.
    La semola è l’ingrediente principale delle orecchiette. È una farina di grano duro, più granulosa e ricca di glutine. Talvolta viene utilizzata la semola integrale, più grezza. Per preparare le orecchiette, la semola va impastata con acqua tiepida, in un rapporto di circa 1/3 rispetto al peso della farina. Alcune versioni della ricetta prevedono anche l’aggiunta di un uovo che rende l’impasto più “calloso”.
    La ricetta vuole così:
    Prendi la semola, fai il camino, mettici al centro l’acqua opportunamente salata e impasta fino a quando la semola non assorbe tutta l’acqua. Qualcuno ci mette pure una o due uova per rendere le orecchiette più callose.
    Dopo aver impastato, riunire la massa tutta insieme e, quando diventa liscia come il velluto, metterla da parte coperta da un piatto per non farla asciugare. Tagliarne un pezzo, impastarlo per bene e stenderlo con le mani finché non diventi un bastoncino lungo e sottile; più sottile è, e più piccole verrano le orecchiette.
    Dopodiché prendere il coltello e cominciare l’opera. E qui sta il segreto perché è una questione di dita, di come si muovono fra impasto, coltello e piano. Col coltello raschiare avanti e dietro il piano per renderlo rasposo così da far venire la pasta rugosa e non liscia.
    Prendere lo “sferre” con le due mani appoggiando sopra l’indice e il medio e sotto il pollice: tagliare un pezzo di mazza e tirare, facendo con i due indici un mezzo cerchio sopra il tocchetto così che l’orecchietta si rovesci direttamente sotto il coltello e non vada girata sul dito, come fanno quelle che non sono di Bari.
    Man mano che si fanno, mettere le orecchiette ad asciugare al sole.
    L’usanza vuole che le orecchiette per il ragù siano più piccole e preferibilmente secche, mentre quelle da fare con le cime di cavolo devono essere più grosse e fresche.
    Lo “sferre” è un coltello senza manico e non zigrinato, utilizzato per strascinare i pezzettini d’impasto sul tavolo. “U’ tavelidd” è invece un piano di legno su cui si lavora la pasta fresca. Più è usato e meglio funziona: infatti viene addirittura raschiato per conferire la tipica rugosità alle orecchiette.
    Le orecchiette hanno persino proprietà divinatorie. Per prevedere il sesso del nascituro, la futura madre era solita mettere nell’acqua bollente una recchietedde ed un pezzo di maccherone grosso detto zito. Al forte bollore, questi andavano su e gi nella pentola: se la donna vedeva salire a galla prima la recchietedde pronosticava che sarebbe nata una femmina. Se invece vedeva salire prima lo zito, sarebbe nato un maschio
    .
    Fonti:
    Signorile Vito, Ce se mange iòsce? Madonne ce ccròsce! Le tradizioni
    gastronomiche raccontate da un buongustaio, Gelso Rosso, Bari, 2008.
    Sbisà Nicola, Puglia in Tavola, Le ricette della tradizione, Adda, Bari, 2009

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